Il Piccolo Principe
Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato "Storie vissute della natura", vidi un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa nell'atto di inghiottire un animale. Eccovi la copia del disegno.
C'era scritto: "I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo di che non riescono piu a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede".
Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero uno. Era cosi:
Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. Ma mi risposero: "Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?" Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che cos'era, disegnai l'interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi. Il mio disegno numero due si presentava cosi:
Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all'aritmetica e alla grammatica. Fu cosi che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore. Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disanimato. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. Allora scelsi un'altra professione e imparai a pilotare gli aeroplani. Ho volato un po' sopra tutto il mondo: e veramente la geografia mi e stata molto utile. A colpo d'occhio posso distinguere la Cina dall'Arizona, e se uno si perde nella notte, questa sapienza e di grande aiuto.
Ho incontrato molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l'opinione che avevo di loro non e molto migliorata.
Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l'esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire cosi se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: "É un cappello".
E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.
Cosi ho trascorso la mia vita solo, senza nessuno cui poter parlare, fino a sei anni fa quando ebbi un incidente col mio aeroplano, nel deserto del Sahara. Qualche cosa si era rotta nel motore, e siccome non avevo con me né un meccanico, né dei passeggeri, mi accinsi da solo a cercare di riparare il guasto.
Era una questione di vita o di morte, perché avevo acqua da bere soltanto per una settimana. La prima notte, dormii sulla sabbia, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Ero piu isolato che un marinaio abbandonato in mezzo all'oceano, su una zattera, dopo un naufragio. Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato all'alba da una strana vocetta: "Mi disegni, per favore, una pecora?"
"Cosa?"
"Disegnami una pecora".
Balzai in piedi come fossi stato colpito da un fulmine. Mi strofinai gli occhi piu volte guardandomi attentamente intorno. E vidi una straordinaria personcina che mi stava esaminando con grande serieta. Qui potete vedere il miglior ritratto che riuscii a fare di lui, piu tardi. Ma il mio disegno e molto meno affascinante del modello.
La colpa non e mia, pero. Con lo scoraggiamento che hanno dai i grandi, quando avevo sei anni, alla mia carriera di pittore, non ho mai imparato a disegnare altro ce serpenti boa dal di fuori o serpenti boa dal di dentro.
Ora guardavo fisso l'improvvisa apparizione con gli occhi fuori dall'orbita per lo stupore. Dovete pensare che mi trovavo a mille miglia da una qualsiasi regione abitata, eppure il mio ometto non sembrava smarrito in mezzo alle sabbie, né tramortito per la fatica, o per la fame, o per la sete, o per la paura. Niente di lui mi fava l'impressione di un bambino sperduto nel deserto, a mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Quando finalmente potei parlare gli domandai: "Ma che cosa fai qui?"
Come tutta risposta, egli ripeté lentamente come si trattasse di cosa di molta importanza:
"Per piacere, disegnami una pecora! "
Quando un mistero e cosi sovraccarico, non si osa disubbidire. Per assurdo che mi sembrasse, a mille miglia da ogni abitazione umana, e in pericolo di morte, tirai fuori dalla tasca un foglietto di carta e la penna stilografica. Ma poi ricordai che i miei studi si erano concentrati sulla geografia, sulla storia, sull'aritmetica e sulla grammatica e gli dissi, un po' di malumore, che non sapevo disegnare. Mi rispose: "Non importa. Disegnami una pecora! "Non avevo mai disegnato una pecora e allora feci per lui uno di quei due disegni che avevo fatto tante volte: quello del boa da di fuori; e fui sorpreso di sentirmi rispondere:"No, no, no! Non voglio l'elefante dentro al boa. Il boa e molto pericoloso e l'elefante molto ingombrante. Dove vivo io tutto e molto piccolo. Ho bisogno di una pecora: disegnami una pecora".
Feci il disegno.
Lo guardo attentamente, e poi disse: "No! Questa pecora e malaticcia. Fammene un'altra".
Feci un altro disegno.
Il mio amico mi sorrise gentilmente, con indulgenza. "Lo puoi vedere da te", disse, "che questa non e una pecora. E un ariete. Ha le corna". Rifeci il disegno una terza volta, ma fu rifiutato come i tre precedenti."Questa e troppo vecchia. Voglio una pecora che possa vivere a lungo".
Questa volta la mia pazienza era esaurita, avevo fretta di rimettere a posto il mio motore. Buttai giu un quarto disegno. E tirai fuori questa spiegazione: "Questa e soltanto la sua cassetta. La pecora che volevi sta dentro". Fui molto sorpreso di vedere il viso del mio piccolo giudice illuminarsi:
"Questo e proprio quello che volevo. Pensi che questa pecora dovra avere una gran quantita d'erba?"
"Perché?"
"Perché dove vivo io, tutto e molto piccolo!"
"Ci sara certamente abbastanza erba per lei, e molto piccola la pecora che ti ho data".
Si chino sul disegno:
"Non cosi piccola che - oh guarda! - si e messa a dormire…
"E fu cosi che feci la conoscenza del piccolo principe.
Ci misi molto prima di capire da dove venisse. Il piccolo principe, che mi faceva una domanda dopo l'altra, parava che non sentisse mai le mie.
Sono state le parole dette per caso, che poco a poco, mi hanno rivelato tutto. Cosi, quando vide per la prima volta il mio aeroplano (non lo disegnero perché sarebbe troppo complicato per me), mi domando:
"Che cos'e questa cosa?"
"Non e una cosa… vola. E un aeroplano. E il mio aeroplano".
Ero molto fiero di fargli sapere che volavo.
Allora grido: "Come? Sei caduto dal cielo!"
"Si", risposi modestamente.
"Ah! Questa e buffa!"
E il piccolo principe scoppio in una bella risata che mi irrito. Voglio che le mie disgrazie siano prese sul serio. Poi riprese:
"Allora anche tu vieni dal cielo! Di quale pianeta sei?"
Intravidi una luce, nel mistero della sua presenza, e lo interrogai bruscamente:
"Tu vieni dunque da un altro pianeta?"
Ma non mi rispose. Scrollo gentilmente il capo osservando l'aeroplano.
"Certo che su quello non puoi veniere da molto lontano!"
e si immerse in una lunga meditazione. Poi, tirando fuori dalla tasca la mia pecora, sprofondo nella contemplzione del suo tesoro.
Voi potete ene immaginare come io fossi incuriosito da quell mezza confidenza su "gli altri pianeti". Cercai dunque di tirargli fuori qualche altra cosa:
"Da dove vieni, ometto? Dov'e la tua casa? Dove vuoi portare la mia pecora?"
Mi rispose dopo un silenzio meditativo: "Quello che c'e di buono, e che la cassetta che mi hai dato, le servira da casa per la notte".
"Certo. E se sei buono ti daro pure una corda per legare la pecora durante il giorno. E un paletto"
La mia proposta scandalizzo il piccolo principe.
"Legarla? Che buffa idea!"
"Ma se non la leghi andra in giro e si perdera… "
Il mio amico scoppio in una nuova risata:
"Ma dove vuoi che vada!"
"Dappertutto. Dritto davanti a sé!"
E il piccolo principe mi rispose gravemente:
"Non importa, e talmente piccolo da me!"
E con un po' di malinconia, forse, aggiunse:
"Dritto davanti a sé non si puo andare molto lontano!"
Avevo cosi saputo una seconda cosa molto importante! Che il suo pianeta nativo era poco piu grande di una casa. Tuttavia questo non poteva stupirmi molto. Sapevo benissimo che, oltre ai grandi pianeti come la Terra, Giove, Marte, Venere ai quali si e dato un nome, ce ne sono centinaia ancora che sono a volte cosi piccoli che si arriva si e no a vederli col telescopio.
Quando un astronomo scopre uno di questi, gli da per nome un numero. Lo chiama per esempio: "l'asteroide 3251".
Ho serie ragioni per credere che il pianeta da dove veniva il piccolo principe e l'asteroide B 612.
Questo asteroide e stato visto una sola volta al telescopio da un astronomo turco. Aveva fatto allora una grande dimostrazione della sua scoperta a un Congresso Internazionale d'Astronomia. Ma in costume com'era, nessuno lo aveva preso sul serio. I grandi sono fati cosi.
Fortunatamente per la reputazione dell'asteroide B 612 un dittatore turco impose al suo popolo, sotto pena di morte, di vestire all'europea.
L'astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, con un abito molto elegante. E questa volta tutto il mondo fu con lui.
Se vi ho raccontato tanti particolari sull'asteroide B 612 e se vi ho rivelato il suo numero, e proprio per i grandi che amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: "Qual e il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?".
Ma vi domandano: "Che eta ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?" Allora soltanto credono di conoscerlo. Se voi dite ai grandi:
"Ho visto una bella casa di mattoni rosa, con dei gerani alle finestre, e dei colombi sul tetto", loro non arrivano a immaginarsela. Bisogna dire: "Ho visto una casa di centomila lire", e allora esclamano: "Com'e bella".
Cosi se voi gli dite: "La prova che il piccolo principe e esistito, sta nel fatto che era bellissimo, che rideva e che voleva una pecora. Quando uno vuole una pecora e la prova che esiste".
Be' , loro alzeranno le spalle, e vi tratteranno come un bambino. Ma se voi invece gli dite: "Il pianeta da dove veniva e l'asteroide B 612" allora ne sono subito convinti e vi lasciano in pace con le domande. Sono fatti cosi. Non c'e da prendersela. I bambini devono essere indulgenti coi grandi.
Ma certo, noi che comprendiamo la vita, noi ce ne infischiamo dei numeri! Mi sarebbe piaciuto cominciare questo racconto come una storia di fate. Mi sarebbe piaciuto dire:
"C'era una volta un piccolo principe che viveva su di un pineta poco piu grande di lui e aveva bisogno di un amico…"
Per coloro che comprendono la vita, sarebbe stato molto piu vero. Perché non mi piace che si legga il mio libro alla leggera. E un grande dispiacere per me confidare questi ricordi. Sono gia sei anni che il mio amico se ne e andato con la sua pecora e io cerco di descriverlo per non dimenticarlo. E triste dimenticare un amico. E posso anch'io diventare come i grandi che non s'interessano piu che di cifre. Ed e anche per questo che ho comperato una scatola coi colori e con le matite. Non e facile rimettersi al disegno alla mia eta quando non si sono fatti altri tentativi che quello di un serpente boa dal di fuori e quello di un serpente boa dal di dentro, e all'eta di sei anni. Mi studiero di fare ritratti somigliantissimi. Ma non sono affatto sicuro di riuscirvi. Un disegno va bene, ma l'altro non assomiglia per niente. Mi sbaglio anche sulla statura. Qui il piccolo principe e troppo grande. La e troppo piccolo. Esito persino sul colore del suo vestito. E allora tento e tentenno, bene o male. E finiro per sbagliarmi su certi particolari piu importanti. Ma questo bisogna perdonarmelo. Il mio amico non mi dava mai delle spiegazioni. Forse credeva che fossi come lui. Io, sfortunatamente, no sapevo vedere le pecore attraverso le casse. Puo darsi che io sia un po' come i grandi. Devo essere invecchiato.
Ogni giorno imparavo qualche cosa sul pianeta, sulla partenza sul viaggio. Veniva da sé, per qualche riflessione.
Fu cosi che al terzo giorno conobbi il draa dei baobab.
Anche questa volta fu merito della pecora, perché bruscamete il piccolo principe mi interrogo, come preso da un grave dubbio:
"E proprio vero che le pecore mangiano gli arbusti?"
"Si, vero".
"Ah! Sono contento".
Non capii perché era cosi importante che le pecore mangiassero gli arbusti. Ma il piccolo principe continuo:
"Allora mangiano anche i baobab?"
Feci osserare al piccolo principe che i baobab non sono degli arbusti, ma degli alberi grandi come chiese e che se anche avesse portato con sé una mandria di elefanti, non sarebbe venuto a capo di un solo baobab.
L'idea della mandria di elefanti fece ridere il piccolo principe:
"Bisognerebbe metterli gli uni su gli altri…"
Ma osservo saggiamente:
"I baobab prima di diventare grandi cominciano con l'essere piccoli".
"E esatto! Ma perché vuoi che le tue pecore mangino i piccoli baobab?"
"Be' ! Si capisce", mi rispose come se si trattasse di una cosa evidente. E mi ci volle un grande sforzo d'intelligenza per capire da solo questo problema.
Infatti, sul pianeta del piccolo principe ci sono, come su tutti i pianeti, le erbe buone e quelle cattive. Di conseguenza: dei buoni semi di erbe buone e dei cattivi semi di erbe cattive. Ma i semi sonoinvisibili. Dormono nel segreto della terra fino a che all. uno o all. altro pigli la fantasia di risvegliarsi. Allora si stira, e sospinge da principio timidametne verso il sole un bellissimo ramoscello inoffensivo. Se si tratta di un ramoscello di ravanello o di rosaio, si puo lasciarlo spuntare come vuole.
Ma se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito, appena la si e riconosciuta. C'erano dei terribili semi sul pianeta del piccolo principe: erano i semi dei baobab. Il suolo ne era infestato. Ora, un baobab, se si arria troppo tardi, non si riesce piu a sbarazzarsene. Ingombra tutto il pianeta. Lo trapassa con le sue ragici. E se il pianeta e troppo piccolo e i baobab troppo numerosi, lo fanno scoppiare.
"E una questione di disciplina", mi diceva piu tardi il piccolo principe. "Quando si ha finito di lavarsi al mattino, bisogna fare con cura la pulizia del pianeta. Bisogna costringersi regolarmente a strappare i baobab apena li si distingue dai rosai ai quali assomigliano molto quanod sono piccoli. E un lavoro molto noioso, ma facile".
E un giorno mi consiglio di fare un bel disegno per far entrare bene questa idea nella testa dei bambini del mio paese.
"Se un giorno viaggeranno", mi diceva, "questo consiglio gli potra servire. Qualche volta e senza inconvenienti rimettere a piu tardi il proprio
lavoro. Ma se si tratta dei baobab e sempre una catastrofe. Ho conosciuto un pianeta abitato da un pigro. Aveva trascurato tre arbusti…"
E sull'indicazione del piccolo principe ho disegnato quel pianeta. Non mi piace prendere il tono moralista. Ma il pericolo dei baobab e cosi poco conosciuto, e i rischi che correrebbe chi si smarrisse su un asteroide, cosi gravi, che una volta tanto ho fatto eccezione.
E dico: "Bambini! Fate attenzione ai baobab!" E per avvertire i miei amici di un pericolo che hanno sempre sfiorato, come me stesso, senza conoscerlo, ho tanto lavorato a questo disegno. La lezione che davo, giustificava la fatica. Voi mi domanderete forse: Perché non ci sono in questo libro altri disegni altrettanto grandiosi come quello dei baobab? La risposta e molto semplice: Ho cercato di farne uno, non ci sono riuscito. Quando ho disegnato i baobab ero animato da sentimento dell'urgenza.
Oh piccolo principe, ho capito a poco a poco la tua piccola vita malinconica. Per molto tempo tu non avevi avuto per distrazione che la dolcezza dei tramonti. Ho appreso questo nuovo particolare il quarto giorno, al mattino, quando mi hai detto:
"Mi piacciono tanto i tramonti. Andiamo a vedere un tramonto…"
"Ma bisogna spettare…"
"Aspettare che?"
"Che il sole tramonti…"
Da prima hai avuto un'aria molto sorpresa, e poi hai riso di te stesso e mi hai detto:
"Mi credo sempre a casa mia!"
Infatti. Quando agli Stati Uniti e mezzogiorno tutto il mondo sa che il sole tramonta sulla Francia. Basterebbe poter andare in Francia in un minuto per assistere al tramonto. Sfortunatamente la Francia e troppo lontana. Ma sul tuo piccolo pianeta ti bastava spostare la tua sedia di qualche passo. E guardavi il crepuscolo tutte le volte che lo volevi… "Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatré volte!"
E piu tardi hai aggiunto:
"Sai.. quando si e molto tristi si amano i tramonti…"
"Il giorno delle quarantatré volte eri tanto triste?" Ma il piccolo principe non rispose.
Al quinto giorno, sempre grazie alla pecora, mi fu svelato questo segreto della vita del piccolo principe. Mi domando bruscamente, senza preamboli, come il frutto di un problema meditato a lungo in silenzi:
"Una pecora se mangia gli arbusti, mangia anche i fiori?"
"Una pecora mangia tutto quello che trova".
"Anche i fiori che hanno le spine?"
"Si. Anche i fiori che hanno le spine".
"Ma allora le spine a che cosa servono?"
Non lo sapevo. Ero in quel momento occupatissimo a cercare di svitare un bullone troppo stretto del mio motore. Ero preoccupato perché la mia panne cominciava ad apparirmi molto grave e l. acqua da bere che si consumava mi faceva temere il peggio.
"Le spine a che cosa servono?"
il piccolo principe non rinunciava mai a una domanda che aveva fatta. Ero irritato per il mio bullone e risposi a casaccio:
"Le spine non servono a niente, e pura cattiveria da parte dei fiori"
"Oh!"
Ma dopo un silenzio mi getto in viso con una specie di rancore:
"Non ti credo! I fiori sono deboli. Sono ingenui. Si rassicurano come possono. Sei credono terribile con le loro spine& "
Non risposi. In quel momento mi dicevo:
"Se questo bullone resiste ancora, lo faro saltare con un colpo di martello". Il piccolo principe disturbo di nuovo le mie riflessioni.
"E tu credi, tu, che i fiori& "
"Ma no! Ma no! Non credo niente! Ho risposto una cosa qualsiasi. Mi occupo di cose serie, io!"
Mi guardo stupefatto.
"Di cose serie!"
Mi vedeva col martello in mano, le dita nere di sugna, chinato su un oggetto che gli sembrava molto brutto.
"Parli come i grandi!"
Ne ebbi un po. vergogna. Ma, senza pieta, aggiunse:
"Tu confondi tutto& tu mescoli tutto!"
Era veramente irritato. Scuoteva al vento i suoi capelli dorati.
"Io conosco un pianeta su cui c. e un signor Chermisi. Non ha mai respirato un fiore. Non ha mai guardato una stella. Non ha mai voluto bene a nessuno. Non fa altro che addizioni. E tutto il giorno ripete come te: "Io sono un uomo serio! Io sono un uomo serio!" e si gonfia di orgoglio. Ma non e un uomo, e un fungo!"
"Che cosa?"
"Un fungo!"
Il piccolo principe adesso era bianco di collera.
"Da migliaia di anni i fiori fabbricano le spine. Da migliaia di anni le pecore mangiano tuttavia i fiori. E non e una cosa seria capire perché i fiori si danno tanto da fare per fabbricarsi delle spine che non servono a niente? Non e importante la guerra fra le pecore e i fiori? Non e piu serio e piu importante delle addizioni di un grosso signore rosso? E se io conosco un fiore unico al mondo, che non esiste da nessuna parte, altro che nel mio pianeta, e che una piccola pecora puo distruggere di colpo, cosi un mattino, senza rendersi conto di quello che fa, non e importante questo!"
Arrossi, poi riprese:
"Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. E lui si dice: "Il mio fiore e la in qualche luogo." Ma se la pecora mangia il fiore, e come se per lui tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero! E non e importante questo!"
Non poté proseguire. Scoppio bruscamente in singhiozzi. Era caduta la note. Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pineta, il mio, la Terra, c'era un piccolo principe da consolare! Lo presi in braccio. Lo cullai. Gli dicevo: "Il fiore che tu ami non e in pericolo… Disegnero una museruola per la tua pecora…e una corazza per il tuo fiore…Io…"
Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo… Il paese delle lacrime e cosi misterioso.
Imparai ben presto a conoscere meglio questo fiore. C'erano sempre stati sul pianeta del piccolo principe dei fiori molto semplici, ornati di una sola raggiera di petali, che non tenevano posto e non disturbavano nessuno. Apparivano un mattino nell'erba e si spegnevano la sera. Ma questo era spuntato un giorno, da un seme venuto chissa da dove, e il piccolo principe aveva sorvegliato da vicino questo ramoscello che non somigliava a nessun altro ramoscello. Poteva essere una nuova specie di baobab. Ma l'arbusto cesso presto di crescere e comincio a preparare un fiore. Il piccolo principe, che assisteva alla formazione di un bocciolo enorme, sentiva che ne sarebbe uscita un'apparizione miracolosa, ma il fiore non smetteva piu di prepararsi ad essere bello, al riparo della sua camera verde. Sceglieva con cura i suoi colori, si vestiva lentamente, aggiustava i suoi petali ad uno ad uno. Non voleva uscire sgualcito come un papavero. Non voleva apparire che nel pieno splendore della sua bellezza. Eh, si, c'era una gran civetteria in tutto questo! La sua misteriosa toeletta era durata giorni e giorni. E poi, ecco che un mattino, proprio all'ora del levar del sole, si era mostrato.
E lui, che aveva lavorato con tanta precisione, disse sbadigliando:
"Ah! Mi sveglio ora. Ti chiedo scusa& sono ancora tutto spettinato…"
Il piccolo principe allora non poté frenare la sua ammirazione:
"Come sei bello!"
"Vero", disse dolcemente il fiore, "e sono nato insieme al sole…"
Il piccolo principe indovino che non era molto modesto, ma era cosi commovente!
"Credo che sia l'ora del caffe e latte", aveva soggiunto, "vorresti pensare a me…"
E il piccolo principe, tutto confuso, ando a cercare un innaffiatoio di acqua fresca e servi al fiore la sua colazione.
Cosi l'aveva ben presto tormentato con la sua vanita un poco ombrosa. Per esempio, un giorno, parlando delle sue quattro spine, gli aveva detto:
"Possono venire le tigri, con i loro artigli!"
"Non ci sono tigri sul mio pianeta", aveva obiettato il piccolo principe, "e poi le tigri non mangiano l'erba".
"Io non sono un'erba", aveva dolcemente riposto il fiore.
"Scusami…"
"Non ho paura delle tigri, ma ho orrore delle correnti d. aria& Non avresti per caso un paravento?"
"Orrore delle correnti d'aria?"
"E un po' grave per una pianta", aveva osservato il piccolo principe. "E molto complicato questo fiore…"
"Alla sera mi metterai al riparo sotto a una campana di vetro. Fa molto freddo qui da te… Non e una sistemazione che mi soddisfi. Da dove vengo io… "
Ma si era interrotto. Era venuto sotto forma di seme. Non poteva conoscere nulla degli altri mondi. Umiliato di essersi lasciato sorprendere a dire una bugia cosi ingenua, aveva tossito due o tre volte, per metter il piccolo principe dalla parte del torto…
"E questo paravento?… "
"Andavo a cercarlo, ma tu mi parlavi!"
Allora aveva forzato la sua tosse per fargli venire dei rimorsi. Cosi il piccolo principe, nonostante tutta la buona volonta del suo amore, aveva cominciato a dubitare di lui. Aveva preso sul serio delle parole senza importanza che l'avevano reso infelice.
Io credo che egli approfitto, per venirsene via, di una migrazione di uccelli selvatici. Il mattino della partenza mise bene in ordine il suo pianeta. Spazzo accuratamente il camino dei suoi vulcani in attivita. Possedeva due vulcani in attivita.
Ed era molto comodo per far scaldare la colazione del mattino. E possedeva anche un vulcano spento. Ma, come lui diceva, "non si sa mai" e cosi spazzo anche il camino del vulcano spento. Se i camini sono ben puliti, bruciano piano piano, regolarmente, senza eruzioni. Le eruzioni vulcaniche sono come gli scoppi nei caminetti. E' evidente che sulla nostra terra noi siamo troppo piccoli per poter spazzare il camino dei nostri vulcani ed e per questo che ci danno tanti guai.
Il piccolo principe strappo anche con una certa malinconia gli ultimi germogli di baobab. Credeva di non ritornare piu. Ma tutti quei lavori consueti gli sembravano, quel mattino, estremamente dolci. E quando innaffio per l'ultima volta il suo fiore, e si preparo a metterlo al riparo sotto la campana di vetro, scopri che aveva una gran voglia di piangere.
"Addio", disse al fiore.
Ma il fiore non rispose.
"Addio", ripeté.
Il fiore tossi. Ma non era perché fosse raffreddato.
"Sono stato uno sciocco", disse finalmente, "scusami, e cerca di essere felice".
Fu sorpreso dalla mancanza di rimproveri. Ne rimase sconcertato, con la campana di vetro per aria. Non capiva quella calma dolcezza.
"Ma si, ti voglio bene", disse il fiore, "e tu non l'hai saputo per colpa mia. Questo non ha importanza, ma sei stato sciocco quanto me. Cerca di essere felice. Lascia questa campana di vetro, non la voglio piu".
"Ma il vento"
"Non sono cosi raffreddato. L'aria fresca della notte mi fara bene. Sono un fiore".
"Ma le bestie"
"Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano cosi belle. Se no chi verra a farmi visita? Tu sarai lontano e delle grosse bestie non ho paura. Ho i miei artigli".
E mostrava ingenuamente le sue quattro spine. Poi continuo:
"Non indugiare cosi, e irritante. Hai deciso di partire e allora vattene".
Perché non voleva che io lo vedessi piangere. Era un fiore cosi orgoglioso.
Il piccolo principe si trovava nella regione degli asteroidi 325, 326, 327, 328, 329 e 330. Comincio a visitarli per cercare un’occupazione e per istruirsi.
Il primo asteroide era abitato da un re. Il re vestito di porpora e d’ermellino, sedeva su un trono molto semplice e nello stesso tempo maestoso.
"Ah! Ecco un suddito", esclamo il re appena vide il piccolo principe.
E il piccolo principe si domando:
"Come puoi conoscermi se non mi ha mai visto?"
Non sapeva che per i re il mondo e molto semplificato. Tutti gli uomini sono dei sudditi.
"Avvicinani che ti veda meglio", gli disse il re che era molto fiero di essere finalmente re per qualcuno.
Il piccolo principe cerco con gli occhi dove potresi sedere, ma il pianeta era tutto occupato dal magnifico manto di ermellino. Dovette rimanere in piedi, ma era tanto stanco che sbadiglio.
"E contro all’etichetta sbadigliare alla presenza di un re", gli disse il monarca, "te lo proibisco".
"Non posso farne a meno", rispose tutto confuso il piccolo principe. "Ho fatto un lungo viaggi e non ho dormito…"
"Allora", gli disse il re, "ti ordino di sbadiglaire. Sono anni che non vedo qualcuno che sbadirglia, e gli sbadigi sono una curiosita per me. Avanti! Sbadiglia ancora. E un ordine".
"Mi avete intimidito… non posso piu", disse il piccolo principe arrossendo.
"Hum! Hum!" rispose il re. "Allora io… io ti ordino di sbadigliare un po’ e un po’…"
Borbotto qualche cosa e sembro seccato. Perché il re teneva assolutamente a che la sua autorita fosse rispettata. Non tollerava la disubbidienza. Era un monarca assoluto. Ma siccome era molto buono, dava degli ordini ragionevoli.
"Se ordinassi", diceva abitualmente, "se ordinassi a un generale di trasformarsi in un uccello marino, e se il generale non ubbidisse, non sarebbe colpa del generale. Sarebbe colpa mia".
"posso sedermi?" s’informo rimidamente il piccolo principe.
"Ti ordino di sederti", gli rispose il re che ritiro maestosamente una falda del suo mantello di ermellino.
Il piccolo principe era mlto stupido. Il pianeta era piccolissimo e allora su che cosa il re poteva regnare?
"Sire", gli disse, "scusatemi se vi interrogo…"
"Ti ordino di interrogarmi", si afrretto a rispondere il re.
"Sire, su che cosa regnate?"
"Su tutto", rispose il re con grande semplicita.
"Su tutto?"
Il re con un gesto discreto indico il suo pianeta, gli altri pianeti, e le stelle.
"Su tutto questo?" domando il piccolo principe.
"Su tutto questo…" rispose il re.
Perché non era solamente un monarca assoluto, era un monarca universale.
"E le stelle vi obbediscono?"
"Certamente", gli disse il re. "Mi obbediscono immediatamente. Non tollero l’indisciplina".
Un tale potere meraviglio il piccolo principe. Se l’avesse avuto lui, avrebbe potuto assistere non a quarantatré, ma settantadue, o anche a cento, a duecento tramonti nella stessa giornata, senza dover spostare mai la sua serdia! E sentendosi un po’ triste al pensiero dels uo piccolo pianeta abbandonato, si azzardo a sollecitare una grazia al re:
"Vorrei tatno vedere u tramonto… Fatemi questo piacere… Ordinate al sole di tramontare…"
"Se ordinassi a un generale di volare da un fiore all’altro come una farfalla, o di scrivere una tragedia, o di trasformarsi in un uccello marino; e se il generale non eseguisse l’ordine ricevuto, chi avrebe torto, lui o io?"
"L’avreste voi", disse con fermezza il piccolo principe.
"Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quellche che ciascuno puo dare", continuo il re. "L’autorita riposa, prima id tutto, sulla ragione. Se tu ordini al tuo popolo id andare a gettarsi in mare, fara la rivoluzione. Ho il idritto di esigere l’ubbidienza perché i miei ordini sono ragionevoli".
"E allora il mio tramonto?" ricordo il piccolo principe che non si dimenticava mai di una domanda una volta che l’aveva fatta.
"L’avrai il tuo tramonto, lo esigero, ma, nella mia sapienza di governo, aspettero che le condizioni siano favorevoli".
"E quando saranno?" s’informo il piccolo principe.
"Hem! Hem!" gli risose il re che intanto consultava un grosso calendario, "hem! hem! sara verso, vers, sara questa sera verso le sette e quaranta! E vedrai come saro ubbidito e puntino".
Il piccolo principe sbadiglio. Rimpiangeva il suo tramonto mancato. E poi incominviava ad annoiarsi.
"Non ho pu niente da fare qui", disse al re. "Me ne vado".
"Non partire", rispose il re che era tanto fiero di avere un suddito, "non partire, ti faro ministro!"
"Ministro di che?"
"Di.. della giustizia!"
"Ma se non c’e nussuno da giudicare?"
"Non si sa mai", gli disse il re. "Non ho ancora fatto il giro del mio regno. Sono molto vecchio, non c’e posto per una carroza e mi stanco a camminare".
"Oh! Ma ho gia visto io", disse il piccolo principe sporgendosi per dare ancora un’occhiata sull’altra parte del pianeta. "Neppure laggiu c’e qualcuno".
"Giudicerai te stesso", gli rispose il re. "E la cosa piu difficile. E molto piu difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a giudicare bene e segno che sei veramente un saggio".
"Io", disse il piccolo principe, "io posso giudicarmi ovunque. Non ho bisogno di abitare qui".
"Hem! hem!" disse il re. "Credo ceh da qualche parte sul mio pianeta ci sia un vecchio topo. Lo sento durante la notte. Potrai giudicare questo vecchio topo. Lo condannerai a morte di tanto in tanto. Cosi la sua vita dipendera dalla tua giustizia. Ma lo grazierai ogni volta per economizzarlo. Non ce n’e che uno".
"Non mi piace condannare a morte", rispose il piccolo principe, "preferisco andarmene".
"No", disse il re.
Ma il piccolo principe che aveva finiti i suoi preparativi di partenza, non voleva dare un dolore al vecchio monarca:
"Se Vostra Maesta desidera esere ubbidito puntualmente, puo darmi un ordine ragionevole. Potrebbe ordinarmi, per esempio, di partir prima che sia passato un minuto. Mi pare che le condizioni siano favorevoli…"
E siccome il re non rispondeva, il piccolo principe esito un momento e poi con un sospiro se ne parti.
"Ti nomino mio ambasciatore", si affretto a gridargli appresso il re.
Aveva un’aria di grande autorita.
Sono ben strani i grandi, si disse il piccolo principe durante il viaggio.
Il secondo pianeta era abitato da un vanitoso.
"Ah! Ah! Ecco la visita di un ammiratore", grido da lontano in vanitoso appena scorse il piccolo principe.
Per i vanitosi tutti gli altri uomini sono degli ammiratori.
"Buon giorno", disse il piccolo principe, "che buffo cappello avete!"
"E per salutare", gli rispose il vanitoso. "E per salutare quando mi acclamano, ma sfortunatamente nonpassa mai nesusno da queste parti".
"Ah si?" disse il piccolo principe che non capiva.
"Batti le mani l’una contro l’altra", consiglio percio il vanitoso.
Il piccolo principe batté le mani l’una contro l’altra e il vanitoso saluto con modestia sollevando il cappello.
"E piu divertente che la visita al re", si disse il piccolo principe, e ricomincio a battere le mani l’una contro l’altra. Il vanitoso ricomincio a salutare sollevando il cappello.
Dopo cinque minuti di questo esercizio il piccolo principe si stanco della monotonia de gioco:
"E che cosa bisogna fare", domando, "perché il cappello caschi?"
Ma il vanitoso con l’intese. I vanitosi non sentono altro che le lodi.
"Mi ammiri molto, veramente?" domando al piccolo principe.
"Che cosa vuol dire ammirare?"
"Ammirare vuol dire riconoscere che io sono l’uomo piu bello, piu elegante, piu ricco e piu intelligente di tutto il pianeta".
"Ma tu sei solo sul tuo pianeta!"
"Fammi questo piacere. Ammirami lo stesso!"
"Ti ammiro", disse il piccolo principe, alzando un poco le spalle, "ma tu che te ne fai?"
E il piccolo principe se ne ando.
Decisametne i grandi sono ben bizzarri, diceva con semplicita a se stesso, durante il suo viaggio.
Il pianeta appresso era abitato da un ubriacone. Questa visita fu molto breve, ma immerse il pciccolo principe inuna grande malinconia.
"Che cosa fai?" chiese all’ubriacone che stava in silenzio davanti a uan collezione di bottiglie buote e a ua collezioe di bottiglie piene.
"Bevo", rispose, in tono lugubre, l’ubriacone.
"Perché bevi?" domando il piccolo principe.
"Per dimenticare", rispose l’ubriacone.
"Per dimenticare ce cosa?" s’informo il piccolo principe che cominciava gia a compingerlo.
"Per dimenticare che ho vergogna", confesso l’ubriacone abbassando la testa.
"Vergogna di che?" insistette il piccolo principe che desiderava soccorrerlo.
"Vergogna di bere!" e l’ubriacone si chiuse in un silenzio definitivo.
Il piccolo principe se ne ando perplesso.
I grandi, decisamente, sono molto, molto bizzarri, si disse durante il viaggio.
Il quarto pianeta era abitato da un uomo d’affari. Questo uomo era cosi occupato che non alzo neppure la testa all’arrivo del piccolo principe.
"Buon giorno", gli disse questi. "La vostra sigaretta e spenta".
"Tre piu due fa cinque. Cinque piu sette: dodici. Dodici piu tre: quindici. Buon giorno. Quindici piu sette fa ventidue. Ventidue piu sei: ventotto. Non ho tempo per riaccenderla. Ouf! Dunque fa cinquecento e un milione seicento ventiduemila settecento trentuno".
"Cinquecento milioni di che?"
"Hem! Sei sempre li? Cinquecento e un milione di… non lo so piu. Ho talmetne da fare! Sono un uomo serio io, io, non mi diverto con delle frottole! Due piu cinque: sette…"
"Cinquecento e un milione di che?" ripeté il piccolo principe che mai aveva rinunciato a una domanda una volta che l’aveva espressa.
L’uomo d’affari alzo la testa:
"Da cinquantaquattro anni che abito in questo pianeta non sono stato disturbato che tre volte. La prima volta e stato ventidue anni fa, da una melolonta che era caduta chissa da dove. Feceva un rumore spaventoso e ho fatto quattro errori in una addizione. La seconda vota e stato undici anni fa per una crisi di reumatismi. Nonmi muovo mai, non ho il tempo di girandolare. Sono un uomo serio, io. La terza volta… eccolo! Dicevo dunque cinquecento e un milione".
"Milioni di che?"
l’uomo d’affari capi ceh non c’era speranza di pace.
"Milioni di quelle piccole cose che si vedono qualche volta nel cielo".
"Di mosche?"
"Ma no, di piccole cose che brillano".
"Di api?".
"Ma no. Di quelle piccole cose dorate che fanno fantasticare i poltroni. Ma sono un uomo serio, io! Non ho il tempo di fantasticare".
"Ah! Di stelle?"
"Eccoci. Di stelel".
"E che ne fai di cinquecento milioni di stelle?" milasettecentotrentuno. Sono un uomo serio io, sono un uomo preciso".
"E che te ne fai di queste stelle?"
"Che cosa me ne faccio?"
"Si".
"Niente. Le possiedo".
"Tu possiedi le stelel?"
"Si".
"Ma ho gia veduto un re che…"
"I re non possiedono. Ci regnano sopra. E molto diverso".
"E a che ti serve possedere le stelle?"
"Mi serve ad essere ricco".
"E a che ti serve essere ricco?"
"A comprare delel altre stelel, se qualcuno ne trova".
Questo qui, si dice il piccolo principe, ragiona un po’ come il mio ubriacone.
Ma pure domando ancora:
"Come si puo possedere le stelle?"
"Di chi sono?", rispose facendo stridere i denti l’uomo d’affri.
"Non lo so, di nessuno".
"Allora sono mie che vi ho pensato per il primo".
"E questo basta?"
"Certo. Quando trovi un diamante che non e di nesuno, e tuo. Quando trovi un’isola che non e di nessuno, e tua. Quando tu hai un’idea per primo, la fai brevettare, ed e tua. E io possiedo le stelle, perché mai nessuno prima di me si e sognato di possederle".
"Questo e vero", disseil piccolo principe.
"Che te ne fai?"
"Le amministro. Le conto e le riconto", disse l’uomo d’affari. "E una cosadifficile, ma io sono un uomo serio!"
il piccolo principe non era ancora soddisfatto, metterlo intorno al collo e prtarmelo via. Se possiedo un fiore, posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le telle".
"No, ma posso depositarle alla banca".
"Che cosa vuol dire?"
"Vuol dire che scrivo su un pezzetto di carta il numero delel mie stelel e poi chiudo a chiave questo pezzetto di carta in un cassetto".
"Tutto qi?"
"E sufficiente".
E divertente, penso il piccolo principe, e abbastanza poetico. Ma non e molto serio.
Il piccolo principe aveva sulle cose serie delel idee motlo diverse da quelle dei grandi.
"Io", disse il piccolo principe, "possiedo un fiore che innaggio tutti i giorni. Possiedo tre vulcani dei quali spazzo il camino tutte le settimane. Perché spazzo il camino anche di quello spento. Non si sa mai. E utile ai miei vulcani, ed e utile alle stelle…"
L’uomo d’affari apri la bocca ma non trovo niente da risopndere e il piccolo principe se ne ando.
Decisamente i grandi sono proprio straordinari, si disse semplicemente durante il viaggio.
Il quinto pianeta era molto strano. Vi era appena il posto per sistemare un lampione e l’uomo che l’accendeva. Il piccolo principe non riusciva a spiegarsi a che potessero servire, spersi nel cielo, su di un pianeta senza case, senza abitanti, un lampione e il lampionaio.
Eppure si disse:
"Forse quest’uomo e veramente assurdo. Pero e meno assurdo del re, del vanitoso, dell’uomo d’affari e dell’ubriacone. Almeno il suo lavoro ha un senso. Quando accende il suo lampione, e come se facesse nascere una stella in piu, o un fiore. Quando le spegne addormenta il fiore o la stella. E una bellissima occupazione, ed e veramente utile, perché e bella".
Salendo sul pianeta saluto rispettosamente l’uomo:
"Buon giorno. Perché spegni il tuo lampione?"
"E la consegna", rispose il lampionaio. "Buon giorno".
"Che cos’e la consegna?"
"E di spegnere il mio lampione. Buona sera".
E lo riaccese.
"E adesso perché lo riaccendi?"
"E la consegna".
"Non capisco", disse il piccolo principe.
"Non c’e nulla da capire", disse l’uomo, "la consegna e la consegna. Buon giorno". E spense il lampione.
Poi si asciugo la fronte con un fazzoletto a quadri rossi.
"Faccio un mestiere terribile. Una volta era ragionevole. Accendevo al mattino e spegnevo ala sera, e avevo il resto del giorno per riposarmi e il resto della notte per dormire…"
"E dopo di allora e cambiata la consegna?"
"La consegna non e cambiata", disse il lampionaio, "e proprio questo il dramma. Il pianeta di anno in anno ha girato sempre piu in fretta e la consegna non e stata cambiata!"
"Ebbene?" disse il piccolo principe.
"Ebbene, ora che fa un giro al minuto, non ho piu un secondo di riposo. Accendo e spengo una volta al minuto!"
"E divertente! I giorni da te durano un minuto!"
"Non e per nulla divertente", disse l’uomo. "Lo sai che stiamo parlando da un mese?"
"Da un mese?"
"Si. Trenta minuti: trenta giorni! Buona sera".
E riaccese il lampione.
Il piccolo principe lo guardo e senti improvvisamente di amare questo uomo che era cosi fedele ala sua consegna. Si ricordo dei tramonti che lui stesso una volta andava a cercare, spostando la sua sedia. E volle aiutare il suo amico:
"Sai… conosco un modo per riposarti quando vorrai…"
"Lo vorrei sempre", disse l’uomo.
Perché si puo essere nello stesso tempo fedeli e pigri.
E il piccolo principe continuo:
"Il tuo pianeta e cosi piccolo che in tre passi ne puoi fare i giro. Non ha che da camminare abbastanza lentamente per rimanere sempre al sole. Quando vorrai riposarti camminerai e il giorno durera finché tu vorrai".
"Non mi serve a molto", disse l’uomo. "Cio che desidero soprattutto nella via e dormire".
"Non hai fortuna", disse il piccolo principe.
"Non ho fortuna", rispose l’uomo. "Buon giorno".
E spense il suo lampadario.
Quest’uomo, si disse il piccolo principe, continuando il suo viaggio, quest’uomo sarebbe disprezzato da tutti gli altri, "E la consegna", dal re, dal vanitoso, dall’ubriacone, dall’uomo d’affari. Tuttavia e il solo che non mi sembri ridicolo. Forse perché si occupa di altro che non di se stesso.
Ebbe un sospiro di rammarico e si disse ancora:
Questo e il solo di cui avrei potuto farmi un amico. Ma il suo pianeta e veramente troppo piccolo, non c’e posto per due…
Quello che il piccolo principe non osava confessare a se stesso, era che di questo pianeta benedetto rimpiangeva soprattutto i suoi millequattrocentoquaranta tramonti nelle ventiquattro ore!
Il sesto pianeta era dieci volte piu grande. Era abitato da un vecchio signore che scriveva degli enormi libri.
"Ecco un esploratore", esclamo quando scorse il piccolo principe.
Il piccolo principe si sedette sul tavolo ansimando un poco. Era in viaggio da tanto tempo.
"Da dove vieni?" gli domando il vecchio signore.
"Che cos’e questo grosso libro?" disse il piccolo principe. "Che cosa fate qui?"
"Sono un geografo", disse il vecchio signore.
"Che cos’e un geografo?"
"E un sapiente che sa dove si trovano i mari, i fiumi, le citta, le montagne e i deserti".
"E molto interessante", disse il piccolo principe, "questo finalmente e un vero mestiere!"
E diede un’occhiata tutto intorno sul pianeta del geografo. Non aveva mai visto fino ad ora un pianeta cosi maestoso.
"E molto bello il vostro pianeta. Ci sono degli oceani?"
"Non lo posso sapere", disse il geografo.
"Ah! (il piccolo principe fu deluso) E delle montagne?"
"Non lo posso sapere", disse il geografo.
"E delle citta e dei fiumi e dei deserti?"
"Neppure lo posso sapere", disse il geografo.
"Ma siete un geografo!"
"Esatto", disse il geografo, "ma non sono un esploratore. Manco completamente di esploratori. Non e il geografo che va a fare il conto delle citta, dei fiumi, elle montagne, dei mari, degli oceani e dei deserti. Il geografo e troppo importante per andare in giro. Non lascia mai il suo ufficio, ma riceve gli esploratori, li interroga e prende degli appunti sui loro ricordi. E se i ricordi di uno di loro gli sembrano interessanti, il geografo fa fare un’inchiesta sulla moralita dell’esploratore".
"Perché?"
"Perché se l’esploratore mentisse porterebbe una catastrofe nei libri di geografia. Ed anche un esploratore che bevesse troppo".
"Perché?" domando il principe.
"Perché gi ubriachi vedono doppio e allora il geografo annoterebbe due montagne la dove ce n’e una sola".
"Io conosco qualcuno", disse il piccolo principe, "che sarebbe un cattivo esploratore".
"E possibile. Dunque, quando la moralita dell’esploratore sembra buona, si fa un’inchiesta sulla sua scoperta".
"Si va a vedere?"
"No, e troppo complicato. Ma si esige che l’esploratore fornisca le prove. Per esempio, se si tratta di una grossa montagna, si esige che riporti delle grosse pietre".
All’improvviso il geografo si commosse.
"Ma tu, tu vieni da lontano! Tu sei un esploratore! Mi devi descrivere il tuo pianeta!"
E il geografo, avendo aperto il suo registro, tempero la sua matita. I resoconti degli esploratori si annotano da prima a matita, e si aspetta per annotarli a penna che l’esploratore abbia fornito delle prove.
"Allora?"
"Oh! Da me", disse il piccolo principe, "non e molto interessante, e talmente piccolo. Ho tre vulcani, due in attivita e no spento. Ma non si sa ma".
"Non si sa mai" disse il geografo.
"Ho anche un fiore".
"noi non annotiamo fiori", disse il geografo.
"Perché? Sono la cosa piu bella".
"Perché i fiori sono effimeri".
"Che cosa vuol dire ‘effimero’?"
"Le geografie", disse il geografo, "sono i libri piu preziosi fra tutti i libri. Non passano mai di moda. E molto raro che una montagna cambi di posto. E molto raro che un oceano si prosciughi. Noi descriviamo delle cose eterne".
"Ma i vulcani spenti si possono risvegliare", interruppe il piccolo principe. "Che cosa vuol dire ‘effimero’?"
"Che i vulcani siano spenti o in azione, e lo stesso per noi", disse il geografo. "Quello che conta per noi e il monte, lui non cambia".
"Ma che cosa vuol dire ‘effimero’?" ripeté il piccolo principe che in vita sua non aveva mai rinunciato a una domanda una volta che l’aveva fatta.
"Vuol dire ‘che e minacciato di scomparire in un tempo breve’".
"Il mio fiore destinato a scomparire presto?"
"Certamente".
Il mio fiore e effimero, si disse il piccolo principe, e non ha che quattro spine per difendersi dal mondo! E io l’ho lasciato solo!
E per la prima volta si senti pungere dal rammarico. Ma si fece coraggio:
"Che cosa mi consigliate di andare a visitare?"
"Il pianeta Terra", gli rispose il geografo. "Ha una buona reputazione…"
E il piccolo principe se ne ando pensando al suo fiore.
Il settimo pianeta fu dunque la Terra.
La Terra non e un pineta qualsiasi! Ci i contano cento e undici re (non dimenticando, certo, i re negri), settemila geografi, novecentomila uomini d’affari, sette milioni e mezzo di ubriaconi, trecentododici milioni di vanitosi, cioe due miliardi circa di adulti.
Per darvi un’idea delle dimensioni della Terra, vi diro che prima dell’invenzione dell’elettricita bisognava mantenere, sull’insieme dei sei continenti, una vera armata di quattrocentosessantaduemila e cinquecentoundici lampionai per accendere i lampioni. Visto un po’ da lontano faceva uno splendido effetto. I movimenti di questa armata erano regolati come quelli di un balletto d’opera. Prima c’era il turno di quelli che accendevano i lampioni della Nuova Zelanda e dell’Australia. Dopo di che, questi, a vendo accesi i loro lampioni, se ne andavano a dormire. Allora entravano in scena quelli della Cina e della Siberia. Poi anch’essi se la battevano fra le quinte. Allora veniva il turno dei lampionai della Russia e delle Indie. Poi di quelli dell’Africa e dell’Europa. Poi di quelli dell’America del Sud e infine di quelli dell’America del Nord. E mai che si sbagliassero nell’ordine dell’entrata in scena. Era grandioso.
Soli, il lampionaio dell’unico lampione del Polo Nord e il confratello dell’unico lampione del Polo Sud, menavano vite oziose e noncuranti: lavoravano due volte all’anno.
Capita a volte, volendo fare dello spirito, di mentire un po’. Non sono stato molto onesto parlandovi degli uomini che accendono i lampioni. Rischio di dare a quelli che non lo conoscono una falsa idea del nostro pianeta. Gli uomini occupano molto poco posto sulla Terra. Se i due miliardi di abitanti che popolano la Terra stessero in piedi e un po’ serrati, come per un comizio, troverebbero posto facilmente in una piaza di ventimila metri di lunghezza per ventimila metri di larghezza. Si potrebbe ammucchiare l’umanita su un qualsiasi isolotto del Pacifico.
Naturalmente i grandi non vi crederebbero. Si immaginano di occupare molto posto. Si vedono importanti come dei baobab. Consigliategli allora di fare dei calcoli, adorano le cifre e gli piacero molto. Ma non perdete il vostro tempo con questo pensiero, e inutile, visto che avete fiducia in me.
Il piccolo principe, arrivato sulla Terra, fu molto sorpreso di non vedere nessuno. Aveva gia paura di essersi sbagliato di pianeta, quando un anello del colore della luna si mosse nella sabbia.
"Buona notte", disse il piccolo principe a caso.
"Buona notte", disse il serpente.
Su quale pianeta sono sceso?" domando il piccolo principe.
"Sulla Terra, in Africa", rispose il serpente.
"Ah!… Ma non c’e nessuno sulla Terra?"
"Qui e il deserto. Non c’e nessuno nei deserti. La Terra e grande", disse il serpente.
Il piccolo principe sedette su una pietra e alzo gli occhi verso il cielo:
"Mi domando", disse, "se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua. Guarda il mio pianeta, e proprio sopra di noi… Ma come e lontano!"
"E bello", disse il serpente, "ma che cosa sei venuto a fare qui?"
"Ho avuto delle difficolta con un fiore", disse il piccolo principe.
"Ah!" fece il serpente.
E rimasero in silenzio.
"Dove sono gli uomini?" riprese dopo un po’ il piccolo principe. "Si e un po’ soli nel deserto…"
"Si e soli anche con gli uomini", disse il serpente.
Il piccolo principe lo guardo a lungo.
"Sei un buffo animale", gli disse alla fine, "sottile come un dito!…"
"Ma sono piu potente di un dito di un re", disse il serpente.
Il piccolo principe sorrise:
"Non mi sembri molto potente…non hai neppure delle zampe… e non puoi neppure camminare…"
"Posso trasportarti piu lontano che un bastimento", disse il serpente.
Si arrotolo attorno alla caviglia del piccolo principe come un braccialetto d’oro:
"Colui che tocco, lo restituisco alla terra da dove e venuto. Ma tu sei puro e vieni da una stella…"
il piccolo principe non rispose.
"Mi fai pena, tu cosi debole, su questa Terra di granito. Potro aiutarti un giorno se rimpiangerai troppo il tuo pianeta. Posso…"
"Oh! Ho capito benissimo", disse il piccolo principe, "ma perché parli sempre per enigmi?"
"Li risolvo tutti", disse il serpente.
E rimasero in silenzio.
Il piccolo principe traverso il deserto e non incontro che un fiore. Un fiore a tre petali, un piccolo fiore da niente…
"Buon giorno", disse il piccolo principe.
"Buon giorno", disse il fiore.
"Dove sono gli uomini?" domando gentilmente il piccolo principe.
Un giorno il fiore aveva visto passare una carovana:
"Gli uomini? Ne esistono, credo, sei o sette. Li ho visti molti anni fa. Ma non si sa mai dove trovarli. Il vento li spinge qua e la. Non hanno radici, e questo li imbarazza molto".
"Addio", disse il piccolo principe.
"Addio", disse il fiore.
Il piccolo principe fece l'ascensione di un'alta montagna. Le sole montagne che avesse mai visto, erano i tre vulcani che gli arrivavano alle ginocchia. E adoperava il vulcano spento come uno sgabello. "Da una motagno alta come questa", si disse perchio, "vedro di un colpo tutto il pianeta, e tutti gli uomini…" Ma non vide altro che guglie di roccia bene affilate.
"Buon giorno", disse a caso.
"Buon giorno… buon giorno& buon giorno& " rispose l'eco.
"Chi siete?" disse il piccolo principe."Chi siete?… chi siete?.. chi siete?… " rispose l'eco.